Bardata di borse e borsoni pieni di braccioli e kit di sopravvivenza per qualche ora in spiaggia con due bambini piccoli a seguito, scendo le scale del sottopassaggio che mi porteranno finalmente al mare.
Fosse stato per me sarei stata a casa a godermi il mare dalla finestra.
Troppo sbattimento tutta quella preparazione per poche ore di spiaggia, senza sdraio né ombrellone, per poi tornare a casa più stanca di prima.
Solo ora che torno a riva dai miei bambini con il mare sulla pelle, il sale nelle vene e sulle labbra sono pronta ad affrontare un nuovo inverno.
Naturalmente l'ascensore del sottopassaggio per il mare è guasto e mi tocca pure trasportare a braccia il passeggino con il secondogenito dentro mentre la prima di soli tre anni mi cammina a fianco, andandomi due per tre tra i piedi e rischiando di farmi cadere con tutto l'ambaradan da un momento all'altro.
All'improvviso Fior di Susino, dopo aver osservato con attenzione per un bel pò una bimba un poco più grande di lei, piantandomi addosso quegli occhioni profondi e sinceri, si volta e mi fa: "Mamma qui i bambini parlano come noi" .
Dio poter gettare tutto a terra e riempirla di baci.
Una frase così e in un attimo via tutto lo stress della situazione.
"Sì amore, hai visto ?"
" Nella nostra casa in Cina i bambini che conosciamo parlano cinese o inglese, qui nella nostra casa in Italia invece quasi tutti parlano italiano come noi".
Due case. Due vite parallele.
Da ormai sette anni la loro vita era così, su due binari.
Eccitante, ai mille all'ora, con pochissimo tempo per annoiarsi. Ma anche faticosa come faticoso è ricercare sempre nuovi equilibri e dare risposte a domande scomode che arrivano all'improvviso a bussarti nell'anima.
"Starò facendo la cosa migliore ?"
"Allontanando i miei figli dall'effetto dei nonni e dei cuginetti non tolgo invece che dare?"
"Lasciare i genitori soli e stanchi sarà la cosa giusta da fare?"
Mentre i bimbi giocano sul bagnasciuga non resisto e improvviso una nuotata a pochi metri dalla riva. Mi volto verso l'immensità del mare qualche minuto.
E mi tuffo; senza preoccuparmi di dover trovare poi il prezioso tempo per lavarmi di nuovo a casa i capelli.
Mi tuffo e vado giù spalancando gli occhi sott'acqua per poter ritrovare, nell'aprirli di nuovo nell'aria, quella sensazione di bruciore che sentivo da bambina.
E mi tuffo; senza preoccuparmi di dover trovare poi il prezioso tempo per lavarmi di nuovo a casa i capelli.
Mi tuffo e vado giù spalancando gli occhi sott'acqua per poter ritrovare, nell'aprirli di nuovo nell'aria, quella sensazione di bruciore che sentivo da bambina.
Riemergo, guardo i bimbi e li saluto felice con la mano.
Poi mi rituffo e faccio una capriola goffa sott'acqua .
Riemergo.
Getto i capelli bagnati all'indietro e li ribagno un poco.
Rivado giù tappandomi il naso, poi torno su e ribagno solo i capelli.
Apro gli occhi, respiro forte la salsedine e la mia breve solitudine.
Tutto è lavato via.
Guardo i miei bambini giocare impegnati con il secchiello e le vedo.
Vedo le ali di filigrana e acciaio che sto tessendo loro da quando siamo partiti.
E capisco che voglio affondare le loro radici nella mia spiaggia, sotto i miei fastidiosi sassi del bagnasciuga.
Sotto la chiesina sulla collina.
Un poco anche sotto la fila di case che si affacciano sulla strada che costeggia il mare e che non sono mai cambiate.
Un altro po' sotto la piccola stazione dove sostano pochi treni ma dove ne passano troppi.
Molte sotto il piccolo faro che spunta dal molo del porticciolo, perché dal molo trovino sempre il coraggio di partire, lontani da me, da un sentiero ben tracciato, in cerca di un sogno, per curiosità, ma che con l'aiuto di quel piccolo faro brutto e sgangherato siano ancora più coraggiosi nel ritornare. Nel sapere riadattarsi, nel riuscire a nascondersi un poco per far felici tutti gli altri, tornare anche solo il tempo di accarezzare la mano piena di vene di un nonno che li aspetta; per ricevere una pugnalata da chi si credeva amico o dal raccogliere il grano di un'amicizia che continua, nonostante le distanze.
Vedo le ali di filigrana e acciaio che sto tessendo loro da quando siamo partiti.
E capisco che voglio affondare le loro radici nella mia spiaggia, sotto i miei fastidiosi sassi del bagnasciuga.
Sotto la chiesina sulla collina.
Un poco anche sotto la fila di case che si affacciano sulla strada che costeggia il mare e che non sono mai cambiate.
Un altro po' sotto la piccola stazione dove sostano pochi treni ma dove ne passano troppi.
Molte sotto il piccolo faro che spunta dal molo del porticciolo, perché dal molo trovino sempre il coraggio di partire, lontani da me, da un sentiero ben tracciato, in cerca di un sogno, per curiosità, ma che con l'aiuto di quel piccolo faro brutto e sgangherato siano ancora più coraggiosi nel ritornare. Nel sapere riadattarsi, nel riuscire a nascondersi un poco per far felici tutti gli altri, tornare anche solo il tempo di accarezzare la mano piena di vene di un nonno che li aspetta; per ricevere una pugnalata da chi si credeva amico o dal raccogliere il grano di un'amicizia che continua, nonostante le distanze.
Solo ora che torno a riva dai miei bambini con il mare sulla pelle, il sale nelle vene e sulle labbra sono pronta ad affrontare un nuovo inverno.
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